Arte & Società
il
Monastero San Pietro in Lamosa
Provaglio Monastero di san Pietro in Lamosa
Creatività, Arti e la società.
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Come dice Renzo Piano, che non ha mai nascosto il suo desiderio di essere un musicista, forse
appagato solo allorquando il suo ultimo figlio Giorgio lo è diventato, “la musica è tra le arti la
più leggera e l’architettura forse è la più pesante”.
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Infatti, la musica è fatta di note che si muovono, galleggiano nell’aria fino a disperdersi fuori e
dentro di noi, mentre l’architettura, sia quella fatta dagli architetti che quella fatta dagli ingegneri,
quando è quella buona, cerca di trovare degli slanci di leggerezza di battere un poco la forza di
gravità, ma resta sempre ancorata pesantemente al suolo.
Tutte le arti, e vorrei dire anche alcuni mestieri, hanno il loro linguaggio, che diventa il mezzo per
tradurre una ispirazione, la visione di una possibile realtà vista attraverso un lampo della propria
immaginazione.
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Un progetto di architettura parte sempre, o dovrebbe partire, da uno o più schizzi iniziali, poche
linee, spesso comprensibili solo all’estensore o a iniziati, che traducono una idea in nuce, un
concetto, una visione che, per chi l’ha fatto, comprende ormai tutto. Non è un caso che concept
nella progettazione sia un termine molto ampio che indica la fase dedicata alla definizione degli
elementi fondamentali di un progetto.
Ma dal concetto sugli schizzi e dal successivo progetto, alla sua realizzazione si entra in un
percorso impervio, contradditorio, un successivo rimpallo tra le esigenze del committente, dei vari
consulenti, degli strutturisti, delle amministrazioni pubbliche. Alla fine di questo percorso, l’idea,
il concept ne esce ammaccato e l’architetto, l’ingegnere molto spesso depresso e frustrato.
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Non voglio certo dire che quel percorso non sia anche positivo, condividere l’idea originale spesso
è un passaggio essenziale, porta anche ad un suo arricchimento ad un suo rafforzamento, fare
architettura è anche un modo di misurarsi con la realtà per poter lanciare il pensiero oltre
l’ostacolo.
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Senza contare quanto a ragione nel merito dice David Chipperfield: “la figura dell’architetto oggi
è molto cambiata per la maggiore consapevolezza di svolgere il suo impegno in una società che
ha enfatizzato piuttosto l’individualismo che lo spirito collettivo.”
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Per cui conclude che “molto spesso alla vanità dei committenti corrisponde la mania degli architetti
di aggiungere il proprio ego”
Un percorso, comunque, quello dallo schizzo alla realizzazione che si appesantisce sempre di più
procedendo, diventa sempre meno un percorso di espressione anche artistica, anche culturale e
sempre di più la definizione di un oggetto edilizio.
In mezzo, tra la musica e l’architettura ci stanno altre forme artistiche con diverso peso e differente
leggerezza.
Scrivere, disegnare, dipingere, scolpire, richiedono diversi mezzi e supporti tutti sicuramente più
pesanti della musica ma sicuramente più leggeri dell’architettura.
E rispetto a quest’ultima più immediatamente realizzabili, o più esattamente, realizzabili senza
mediazioni o con minori mediazioni.
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Al proposito pensiamo all’ultima arte, la più giovane, la fotografia e la cinematografia, e a quanto
si siano “alleggerite” nel giro di pochi anni diventando sempre di meno un fatto di chimica e di
numerosi passaggi bagnati e usciti come da antri oscuri.
Oggi le immagini foto/cinematografiche sono la sapiente composizione di numeri, una realtà
elettronica sempre più leggera oltre che molto più alla portata di tutti.
Ecco nella differenza tra la pesantezza dei materiali da costruzione dell’ingegnere e dei relativi
processi e la leggerezza dei disegni di Carlo, nella leggerezza del supporto cartaceo e degli
acquerelli (più leggeri anche degli olii) mi sembra di identificare il senso di questa “mano sinistra
ritrovata”.
Si può pensare che questi disegni siano solo una camera di compensazione, solo un modo di
esprimere ciò che era compresso in una professione “pesante”? Un desiderio di far volare con
degli schizzi i pensieri creativi espressi di una architettura, ahimè, non realizzata?
Sono quindi questi disegni solo un modo di liberare una creatività che il mondo dell’ingegnere
nasconde o deve nascondere al cospetto del suo partner architetto nel processo di avanzamento
di un progetto?
No non credo.
Forse dobbiamo riflettere sul fatto che la vita, tutte le vite, sono anche, o dovrebbero essere, un
processo di liberazione del proprio fare creativo.
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Emmanuel Anati parlando delle incisioni rupestri ha detto e scritto che la necessità di esprimere la
propria creatività è una disposizione universale propria dell'uomo fin dalle sue origini.
Siamo convinti che l’educazione dei bambini passi anche attraverso carta e pastelli, i supporti e
strumenti leggeri quasi istintivi affinché l’uomo nei suoi primi passi si esprima con la creatività
grafica.
Poi altrettanto presto lo dimentichiamo, quasi che la matita colorata, o non, sia solo una fase
infantile del processo di crescita.
Si pensi anche solo alla mancanza, o quasi, nelle scuole di una importante educazione musicale
e alla assenza completa di educazione alle discipline grafiche e alla storia dell’arte.
Sembra che procedendo nella vita inglobiamo dentro l’homo economicus tutto ciò che siamo,
vogliamo essere o desideriamo e possiamo esprimere.
Fanno eccezione, in questo processo, coloro che con il proprio lavoro esprimono anche le
esigenze creative.
Non voglio che si creda che non esiste una creatività anche in lavori e professioni basate sulle
scienze e la tecnica. A solo titolo di esempio è risaputo che Einstein intuì alcune sue teorie
rivoluzionarie senza che abbia trovato all’epoca le evidenze scientifiche per dimostrarle
Come pure tra i creativi di mestiere vi sono degli “insaziabili”. Mi viene in mente tra gli altri che
Piero Portaluppi architetto che con Gio Ponti è stato leader del ‘900 milanese, (oggi architetti
studiati in tutto il mondo) ha sentito la necessità di esprimersi oltre che con numerose belle
architetture anche facendo il cineasta, il vignettista, l’enigmista, il fotografo, l’astronomo, lo
statistico etc.
Perché quindi meravigliarci se ad un certo livello della nostra vita, sedato un poco l’homo
economicus, sentiamo l’esigenza che la creatività imbozzolata, incapsulata venga fuori e ritrovi,
per così dire, la mano sinistra?
Esprimendosi con le forme proprie dell’arte?
Qui, a questo tavolo, abbiamo dei campioni di quanto voglio dire.
Massimo Minini, mi sono stupito, un giorno, tempo fa, mi fece vedere dei suoi disegni fatti alle
isole Eolie e rappresentanti tutti, quasi fosse una sua Sain Victoire, l’isola di Vulcano.
Erano molto belli, il mio stupore era legato al fatto che Massimo, vivendo tra artisti e con artisti
ove concetto e forma si esprimevano con elementi complessi, utilizzasse un linguaggio di una
semplicità quasi disarmante.
Claudio, che vive ogni giorno tra persone che fanno i conti con un passaggio importante della
loro vita, scrive cose belle, istruttive, divertenti, ‘calvinianamente’ leggere anche di argomenti che
leggeri certo non lo sono.
Tino che immagino alle prese ogni giorno con bilanci complessi, almeno per me noiosi, ha un
passato importante nell’aver creato Brescia Mostre, è editore di bei libri, scrive molto spesso di
Arte, di architettura e …..chissà se nei suoi cassetti non nasconda, o sul suo tavolo non stia
lavorando a qualche nuova storia.
Massimo Tedeschi che per mestiere già scrive ma lo fa raccontando cose molto serie e molto
legate alla realtà e alla durezza e quotidianità del territorio, deve sollevare lo sguardo e far volare
la sua fantasia con i personaggi e ai commissari dei suoi noir.
Non solo quindi per Carlo, ma per tutti voi, mi sembra di poter dire che la vostra vita contiene
una riserva di creatività che chiede di uscire, un deposito di espressione creativa insopprimibile.
Basta questo per potersi dichiarare o considerarsi artista?
Non credo.
Molte espressioni di questo tipo corrispondono ad un sentire profondo, necessario per chi lo fa e
piacevole per chi lo percepisce, ma non necessariamente tale da rappresentare una eccellenza
in assoluto o relativamente ad altre espressioni simili contemporanee, ovvero tali da reggere il
confronto nello spazio e nel tempo.
La chiamerei una forma di “creatività espressa e diffusa”, interessante perché utile a chi la fa,
considerato che esprime la propria voglia di comunicare di raccontare, e piacevole in molti casi
per chi la fruisce.
A questo punto bisognerebbe chiedersi cosa sia arte.
Sento di non avere la preparazione per esprimere in modo assoluto una definizione in
proposito.
Numerosi filosofi, artisti, critici hanno dato una loro definizione di opera d’arte che nel tempo
ha subito molte variazioni perché il tempo ha modificato, per dirla con Erwin Panofsky, i
concetti di forma, i soggetti e contenuti dell’opera d’arte.
Difficile quindi definire in modo assoluto ed univoco il significato della parola “arte”.
Mentre credo non sia questa l’occasione e il tema in discussione in questo confronto dibattito,
mi limiterei
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A riportare l’opinione recentemente espressa da Anselm Kiefer, uno dei più importanti artisti
viventi in una lezione tenuta al College de France e da poco pubblicata in un bel libro di
Feltrinelli.
“Dirò subito che non esiste una definizione di arte, ogni definizione si sgretola non appena
viene a contatto con il suo enunciato. L’arte non è mai dove speriamo di coglierla”. ……
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“Per cui nessuno si aspetti risposte semplici e chiare ad un mistero profondo: Temo che la
bellezza che si realizza nell’arte possa trasformarsi in cenere quando viene portata al livello del
discorso.
Come diceva Goethe ‘crea, artista, non parlare’ “
Infine Kiefer, che sicuramente si nutre anche di un suo sentire romantico e di profondità
proustiane conclude:
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“le parole sono chiamate al massimo ad indicare una via, circoscrivere un campo, illuminare
per un attimo la notte della creazione artistica che rimane insondabile” …… ”Tocca all’artista,
una sorta di titanico sciamano fondare un mondo che abbia forma e senso”
Tornerei quindi, dopo queste affermazioni “assolute”, forse per cavarmela, come si dice, a
buon mercato, a quella che ho chiamato “creatività diffusa, oggi sempre più diffusa, che
sicuramente ha una sua relazione con il fare arte essendo comunque una potenziale spinta ad
un sentire creativo.
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John Berger, un intellettuale proteiforme, che amo molto, dice “per un artista disegnare e
scoprire.”
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Aggiunge: “Non è soltanto una bella frase. È appunto nell’atto di disegnare che l’artista è
costretto a guardare l’oggetto che ha di fronte, selezionandolo con gli occhi della mente e
rimettendolo insieme: Se disegna a memoria, è costretto a dragare la propria mente, a scoprire
il contenuto della propria riserva di osservazioni passate”
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«Disegnare non è solo misurare e annotare, è anche ricevere. Quando l’intensità dello sguardo
raggiunge un certo grado, diventiamo consapevoli che un’energia altrettanto intensa viene
verso di noi, attraverso l’apparenza di quello che stiamo scrutando.
Osservare, scoprire, selezionare, dragare (molto bello questo verbo che presuppone un
recupero attraverso uno scavo nell’acqua) sono i verbi utilizzati, ma sono anche le azioni
mentali che ognuno può e deve fare per scoprire a fondo le numerose occasioni e oggetti che
ogni giorno viviamo e si offrono al nostro sguardo richiamando la nostra attenzione.
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“Sapere guardare” Percorsi nello sguardo nei giardini e nell'arte, è l’altro invito sempre nella stessa
direzione che Michael Jacob lancia dalla sua Panchina.
Il passo successivo è quello di scegliere quale strumento tecnico (pennello, penna, scalpello,
macchina fotografica etc) utilizzare per fissare, per portare a galla la nostra osservazione.
Gli strumenti infatti sono indifferenti alla espressione della creatività e del punto di vista.
Sono solo dei media che scegliamo più adatti e duttili a fare uscire fuori la creatività che ferve
dentro.
E badate ci sono parole molto incoraggianti per tutti che ci invitano ad impugnare uno strumento che
libera la nostra creatività senza interessarsi troppo che il risultato sia vera arte o semplicemente un modo
per capire e avvicinarsi alla lettura, alla pittura alla fotografia,
Parole che arrivano da Umberto Eco con le quali sembra darci coraggio: esprimetevi, esprimiamoci,
liberiamo la nostra creatività.
Eco, infatti, cercando una definizione di creatività, ricorda un passo di Proust:
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“L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi
occhi.”
e riporta anche un passo fondamentale di Pascal:
“Che non si dica che non ho detto niente di nuovo. La disposizione delle materie è nuova.”
Quando si gioca alla pallacorda è la medesima palla quella con cui giocano l’uno e l’altro, ma uno la
lancia meglio.” …….
Infine conclude dicendo:
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“Sviluppando questo pensiero, si può arrivare alla idea di creatività come combinatoria
inedita di elementi preesistenti, o ab aeterno o da gran tempo.” ……. “…… che la
creatività si basi su una combinatoria mi pare evidente……... “
E che questa porti all’opera d’arte è pure evidente.
Da qui la conclusione:
“…… Le ragioni della scelta finale, del ripudio delle soluzioni insoddisfacenti, per arrestarsi alla sola che
pare perfetta, non ci è ancora chiara ……..”
“Badate, la domanda conduce a concludere che l’Edipo Re o la Medea ci paiono tragedie eccelse solo
perché sono quelle che ci sono pervenute, mentre altre, forse infinitamente più belle, sono scomparse
per le ragioni più varie (incendi, censure, insipienza dei critici).
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Per cui dovremmo dire che ciò che consideriamo assolutamente creativo è ciò che di abbastanza nuovo
ci è pervenuto, ma altro avremmo potuto avere, e semplicemente non lo
sappiamo. Oppure attendiamo che la combinatoria della creatività, girando ancora per qualche
millennio, ce lo dia un giorno.”
DIA 20
mano sinistra di Bergher che dipinge la destra
DIA 21
…….per approfondire piccola bibliografia:
• Sul disegnare, John Berger Libri Sheiwiller 2007
• La filosofia delle arti, Sentire, pensare immaginare, Stefano Velotti, Laterza 2012
• Sulla Panchina Percorsi dello sguardo nei giardini dell’arte, Michael Jacob, Einaudi 2014
• L’arte sopravviverà alle sue rovine , Anselm Kiefer, Feltrinelli 2018
• Discorso tecnico delle arti, Gillo Dorfles, Christian Marinotti, 2003
Arch. Claudio Gasparotti